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Il lavoro è spesso fonte di stress. In alcuni casi il lavoratore può ottenere un risarcimento dal datore di lavoro.

Il lavoratore ha diritto a lavorare in un ambiente lavorativo sano. Tale diritto viene leso ogni volta che il datore di lavoro o il superiore gerarchico pone in essere azioni ostili, discriminatorie e vessatorie nei confronti di un lavoratore subordinato. In questi casi, il lavoratore diviene vittima del superiore gerarchico, suo carnefice. Questi atteggiamenti possono essere fonte di forte stress emotivo e psicologico nel lavoratore. Tale stress può poi cristallizzarsi in un vero e proprio danno alla salute.

In simili situazioni, il lavoratore può richiedere un risarcimento del danno patito a causa dello “stress forzato” indotto dal superiore gerarchico o dal datore di lavoro.

Il risarcimento potrà essere chiesto al datore di lavoro anche se a porre in essere le condotte vessatorie sia il superiore gerarchico (quindi un altro collega).

Perché posso richiedere un risarcimento del danno da stress lavorativo causato da un collega al datore di lavoro?

Perché il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale di chi lavora per lui.

In cosa consiste l’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica e morale del datore di lavoro?

Il datore di lavoro deve sì astenersi in prima persona dal porre in essere condotte lesive del lavoratore ma deve anche vigilare e impedire che nell’ambiente di lavoro, a causa di altri suoi dipendenti, si verifichino situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona del lavoratore.

Da dove deriva l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica e morale del lavoratore?

Questo obbligo discende dall’art. 2087 Cod. Civ. che recita “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.

In merito, la Giurisprudenza ha precisato che questo dovere non riguarda il solo campo della prevenzione antinfortunistica.

L’art. 2087 Cod. Civ., infatti, deve essere applicato in tutti i casi in cui l’evento dannoso sia eziologicamente riconducibile (quindi sia stato causato) ad un comportamento colposo, o ad un inadempimento di specifici obblighi di legge, o a violazione di obblighi contrattuali, o a violazione dei principi generali di correttezza e buona fede nell’ambito del rapporto di lavoro.

Come ulteriormente precisato nella nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 3291/2016 il datore di lavoro è, infatti,“tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (c.d. straining)“.

Cos’è lo straining?

straining: stress forzato deliberatamente inflitto alla vittima dal superiore gerarchico con un obiettivo discriminatorio.

Lo straining è una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima (lavoratore) subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa.

Perchè si tratti di straining, quindi, è necessario che un soggetto gerarchicamente superiore (quindi il datore di lavoro o il responsabile dell’ufficio, del reparto etc..) ponga in essere azioni vessatorie nell’ambiente di lavoro a danni di un dipendente lavoratore subordinato. 

La condizione di “stress forzato” può essere provocata con condotte intenzionali o discriminatorie e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, malsano.

A differenza del mobbing, è sufficiente che il superiore gerarchico abbia posto in essere anche un’unica azione ostile.

Ciò che conta, infatti, è che tale azione vessatoria abbia provocato conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori

Quindi, ove l’azione discriminatoria abbia prodotto un danno all’integrità psico-fisica del lavoratore subordinato, quest’ultimo potrà ottenere dal proprio datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 Cod. Civ. un risarcimento. 

Quali condotte vessatorie sono straining?

Sopra si è parlato di condotte vessatorie. Di che genere di condotte si tratta?

Si tratta di azioni ostili, degradanti, vessatorie, svilenti a danno di un dipendente o di un lavoratore gerarchicamente subordinato che, sebbene non costituiscano mobbing, abbiano creato nel danneggiato un danno alla sua salute psicofisica.

Tali condotte sono (così come richiamate dalla Giurisprudenza): attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza, posizione di costante inferiorità percepita come permanente etc..

L’ultima condanna per straining. Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca è responsabile delle condotte vessatore del Dirigente Scolastico a danni di un’insegnante.

La Suprema Corte di Cassazione (con ordinanza del 19 febbraio 2018 n. 3977) ha ritenuto responsabile il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca per le condotte vessatorie poste in essere dal Dirigente Scolastico a danni di un’insegnante.

Nel caso di specie, l’insegnante era stata dichiarata inidonea all’insegnamento e, per questo, assegnata alla segreteria della scuola. L’insegnante, nell’esercizio delle sue funzioni di segreteria, aveva rappresentato al dirigente scolastico la necessità di richiedere ulteriore personale per l’espletamento dei servizi amministrativi.

Di tutto punto, il dirigente scolastico aveva posto in essere condotte vessatorie nei confronti dell’insegnante. In particolare, il dirigente scolastico le aveva sottratto gli strumenti di lavoro e le aveva attribuito mansioni non compatibili con il suo stato di salute. Nonostante fosse stata dichiarata inidonea all’insegnamento, infatti, le erano state riattribuite funzioni didattiche. Da ultimo, l’insegnante era stata privata di ogni mansione, lasciata totalmente inattiva. Tale ultima condizione è stata considerata dai giudici assolutamente umiliante stante la posizione di totale inoperatività.

L’insegnate aveva provato che da simili condotte vessatorie ne era derivato un danno. Di tale danno, quindi, è stato dichiarato responsabile il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ai sensi dell’art. 2087 Cod. Civ. Pertanto, il predetto ministero dovrà risarcire il danno ingiustamente patito dall’insegnante, sua dipendente.

Il parere dell’Avvocato

L’avv. Elena Laura Bini precisa anzitutto che “lavorare in un ambiente sano, infatti, non è solo un piacere ma è anche e soprattutto un diritto che deve essere protetto e garantito. In quest’ottica, il danno da stress lavorativo (strainig) è sicuramente uno strumento di notevole importanza. Lo strainig, infatti, colma quel forte vuoto di tutela che si presentava quando, visti gli stringenti requisiti del mobbing, condotte sicuramente gravi e produttive di importanti danni, non venivano censurate e risarcite”.

Lo Studio Legale Lambrate effettua un’attenta disamina della posizione onde rivolgere richieste risarcitorie meritevoli di accoglimento. In particolare, lo Studio Legale Lambrate collabora con l’agenzia investigativa Octopus di Francesco Finanzon onde reperire (ove necessario) tutte le prove circa le condotte vessatorie subite dal lavoratore con assoluta discrezione. Attraverso la preziosa collaborazione del medico legale Dott. Marco Terzi e della psicologa dott.ssa Valentina Impagnatiello, poi, viene effettuata una valutazione del danno subito dalla vittima di strainig. Si precisa come ciò sia assolutamente doveroso: senza una concreta e articolata prova delle condotte vessatorie e del danno subito, infatti, si corre il rischio di incorrere in giudizi infruttuosi, del tutto inutili per l’assistito già fortemente leso.