Quando un medico commette violenza sessuale nello svolgimento di un’attività medica durante una visita?
Il quesito si è posto nei confronti di un ginecologo che aveva compiuto degli atti invasivi della libertà sessuale di tre pazienti durante la visita ginecologica.
In particolare, il ginecologo aveva stimolato il clitoride di tre pazienti senza averle preventivamente avvisate della pratica che avrebbe posto in essere e senza aver acquisito il preventivo consenso delle pazienti.
Le questioni di diritto da affrontare sono diverse.
La necessità del consenso della vittima per il compimento di atti invasivi della libertà sessuale.
La giurisprudenza precisa che è esclusa la possibilità di effettuare accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente.
Il medico, quindi, non detiene un generale diritto di cura del paziente a prescindere dalla volontà dell’ammalato, salvo non ricorra un pericolo grave ed attuale per la vita o per la salute di quest’ultimo.
Pertanto, la condotta di un medico che opera “contro” la volontà del paziente, direttamente o indirettamente manifestata è illecita e dà luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile ai sensi dell’art. 2059 Cod. Civ.
Ciò anche a prescindere dall’esito (anche positivo) del trattamento sanitario praticato e dalla assenza di conseguenze negative sul piano della salute.
Si tratta, infatti, di una condotta che realizza una illegittima coazione dell’altrui volere.
Volere che trova protezione e fondamento nei principi espressi negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione.
Il consenso informato è un diritto fondamentale della persona
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008, ha precisato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, è un vero e proprio diritto della persona che trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile” e che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
La Corte Costituzionale ha anche precisato che il consenso informato è la sintesi di due diritti fondamentali della persona
“quello dell’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative”.
Il medico, dunque, ha l’obbligo di dare
“informazioni che devono essere e più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32 Cost, comma 2”.
I presupposti per l’illecito esercizio dell’attività medica.
In altri termini, a quali condizioni lo svolgimento della professione sanitaria, costituita nel compimento di atti invasivi della libertà sessuale del paziente, costituisce violenza sessuale?
Anzitutto, come sopra precisato, l’attività diagnostica o terapeutica del medico è lecitamente esercitata solo se vi è stata “l’acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente”.
Diversamente, la condotta è illecita.
Il reato di violenza sessuale
Per la configurabilità del reato di violenza sessuale, poi, non occorre un espresso dissenso della vittima ma è sufficiente la consapevolezza nell’agente dell’assenza di una chiara manifestazione del consenso da parte del soggetto passivo al compimento di atti sessuali a suo carico.
Parimenti, per la configurabilità del delitto di cui all’art. 609- bis Cod. Pen., non è necessario che la condotta dell’agente sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del suo piacere sessuale.
La breve durata del contatto invasivo
Da ultimo, l’eventuale breve durata del contatto invasivo della sfera della libertà sessuale del paziente, non è incompatibile con la concreta lesione del bene giuridico tutelato, che si verifica oggettivamente per le sensazioni di disagio e di malessere provocate nelle pazienti.
La recente pronuncia della Corte di Cassazione
I principi appena enunciati sono stati confermati da una recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione. Il caso trattato aveva ad oggetto un ginecologo che aveva effettuato tre visite a tre pazienti diverse. Tutte e tre lamentavano che il medico aveva toccato loro la vagina e il clitoride con le dita, muovendole come in un rapporto sessuale.
Nella citata sentenza, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio enunciando i seguenti principi:
“ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609- bis Cod. Pen. non è necessario che la condotta dell’agente sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del suo piacere sessuale”.
“Il medico, nell’esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito ed informato dallo stesso, o se sussistano i presupposti dello stato di necessità, e, inoltre, deve comunque immediatamente fermarsi in caso di dissenso del paziente”.
“l’errore del medico in ordine all’esistenza di un obbligo giuridico di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale di quest’ultimo, a differenza di quello sulla sussistenza di un valido consenso, costituisce errore su legge penale, a norma dell’art. 5 Cod. Pen., che non esclude il dolo, ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile”(Cass. Pen. Sez. III, n. 18864 del 6 maggio 2019).
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