Può accadere che tra i documenti presenti a casa del de cuius si rinvenga uno scritto contenente, ad esempio, la volontà di donare dei beni ad una determinata persona.
Si può considerare un testamento olografo?
La risposta non è così scontata come può sembrare.
Anzitutto, è bene precisare che il testamento olografo è quel testamento redatto di proprio pugno e custodito nelle mura domestiche.
Quando è valido un testamento olografo?
La Legge attribuisce al testamento olografo validità se il testamento presenta alcuni precisi requisiti: deve essere stato redatto integralmente a mano dal testatore (quindi non a computer), deve contenere la data (giorno mese e anno) e deve essere, ovviamente, firmato dal testatore.
Come riconoscere un testamento olografo?
Per decidere se il documento rinvenuto a casa del de cuius sia o meno un testamento olografo occorre accertare se chi l’ha redatto ha avuto la volontà di creare quel documento come testamento.
In altri termini è opportuno verificare se dal documento risulti con certezza che le disposizioni in esso contenute siano disposizioni di ultima volontà.
La Suprema Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza del 30 gennaio 2019 ha precisato che
“perché sia individuabile un testamento in senso formale, occorre rinvenire il proprium dell’atto di ultima volontà (“per il tempo in cui avrà cessato di vivere”: art. 587 Cod. Civ.), nel senso che l’atto esprima un’intenzione negoziale destinata a produrre i suoi effetti dopo la morte del disponente“( Cass. Civ. sentenza n. 2700/2019).
Il testamento, infatti, rappresenta l’unico tipo negoziale con il quale una persona può disporre dei propri interessi per il tempo della sua morte.
Il caso oggetto della pronuncia
Nel caso oggetto della pronuncia citata si discuteva se la scrittura del de cuius che conteneva l’espressione “dichiaro che dono a mio figlio l’appartamento di mia proprietà sito in…” valesse come testamento olografo.
Nel caso di specie, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno negato che la scrittura fosse un testamento olografo perché dal tenore delle disposizioni non emergeva in alcun modo “la natura di atto mortis causa della dichiarazione, nel senso che la morte venisse assunta dalla dichiarante come punto di origine (ovvero, appunto, come causa)” dell’effetto dispositivo in essa contenuta.
Gli Ermellini precisano che
“ perché un atto possa qualificarsi come testamento, pur non essendo necessario l’uso di formule sacramentali, è necessario quindi riscontrare in modo equivoco dal suo contenuto che si tratti di atto “di ultima volontà”; ovvero, appunto, di un negozio mortis causa”.
Evidenza non presente nella scrittura oggetto del contenzioso che non faceva alcun riferimento alla volontà di disporre del bene alla morte dell’estensore.
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