Ultimo aggiornamento 6 Ottobre 2021
L’obbligo di tampone e di vaccino può essere imposto al lavoro?
L’Avv. Michele Sacchi esprime una sua opinione in tema obbligo di tempone e di vaccino al lavoro.
Già al termine della cosiddetta “fase 1” della pandemia di SARS-CoV-2 (attualmente ancora in corso) ci si è interrogati se il lavoratore dipendente fosse legalmente obbligato, su richiesta del datore di lavoro, a sottoporsi ai più comuni esami diagnostici per verificare la positività al virus, ovvero tampone e test sierologici.
Se si analizza la normativa d’emergenza sul tema, ovvero i vari DPCM succedutisi nel tempo e pure il “Protocollo condiviso” del 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile 2020, non c’è traccia di alcuna disposizione specifica in tema di tamponi né, tantomeno, si dice nulla sul vaccino (all’epoca la ricerca vaccinale specifica era appena cominciata).
Il datore di lavoro può, quindi, imporre l’obbligo di tampone o di vaccino al proprio dipendente?
Secondo l’Avv. Michele Sacchi il datore di lavoro, per il tramite del medico competente, potrebbe obbligare i propri collaboratori e dipendenti a sottoporsi a procedure mediche per l’accertamento di una eventuale infezione da Coronavirus
Il testo unico della sicurezza sul Lavoro
La fonte di tale obbligo potrebbe essere individuata nella normativa generale di cui al D.Lgs. 81/2008 (il cosiddetto testo Unico della Sicurezza sul Lavoro).
Più precisamente, l’art. 41 del citato Decreto – norma di rango più elevato dei vari DPCM – impone al datore di lavoro di attuare sul luogo di lavoro la cosiddetta “sorveglianza sanitaria”. Ciò al fine di dare applicazione a determinate misure necessarie e sufficienti a fronteggiare un particolare rischio sulla base delle correnti conoscenze medico-scientifiche.
Come pure, l’art. 18 del D. Lgs n. 81/2008 sancisce l’obbligo gravante sul datore di lavoro di adottare ogni misura e cautela idonea a tutelare e proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro.
Più in generale, poi, si ricorda l’art. 2087 Cod. Civ. che, esplicitamente, precisa che il datore di lavoro è “…tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
In questo contesto, risulta fondamentale il ruolo del medico aziendale e, ancor prima, è opportuno un adeguato aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.).
Il ruolo del medico del lavoro
Se il medico del lavoro ritiene necessario conoscere se un determinato soggetto sia positivo al virus SARS-CoV-2 allora quest’ultimo non può rifiutare l’accertamento del tampone o dell’esame sierologico.
Tale considerazione dovrebbe essere svolta sulla base delle mansioni del singolo lavoratore e delle modalità secondo le quali vengono espletate.
Il lavoratore può rifiutarsi di sottoporsi a tampone?
Pertanto, il rifiuto al test o al tampone potrebbe essere sanzionato disciplinarmente dal datore di lavoro. Ciò sempre che la richiesta di esame diagnostico sia richiesta/avallata dal medico del lavoro competente.
Come detto, è bene che il datore di lavoro non assuma autonome iniziative, ma che si consulti con il medico aziendale circa l’opportunità di richiedere che il lavoratore si sottoponga al tampone.
Ciò anche al fine della corretta gestione e protezione dei dati sanitari dei lavoratori che il medico del lavoro può senza dubbio affrontare correttamente.
I consigli dell’Avvocato
Dal punto di vista pratico, spiega l’Avv. Michele Sacchi, “prima di richiedere ai lavoratori di sottoporsi al tampone, è bene che il datore di lavoro si attivi per garantire la salute dei propri dipendenti”.
Aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi
In specifico, è opportuno che il datore di lavoro, aggiorni il Documento di Valutazione dei Rischi. A mio parere, infatti, questo adempimento è una cautela fondamentale al fine di rendere l’obbligo di diagnosi il più inattaccabile possibile.
Adottare le misure necessarie a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti
In secondo luogo, il datore di lavoro deve adottare le misure che, secondo le conoscenze scientifiche oggi note, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. Mi riferisco, in particolare, alla fornitura di specifici D.P.I.: quindi, anzitutto, rifornire i lavoratori di mascherine, gel sanificanti, visiere. Per quanto attiene ai luoghi di lavoro, questi devono essere ripensati mediante la disposizione di schermi in plexiglass, la collazione dei lavoratori in spazi idonei che permettano il distanziamento sociale, nonché effettuare costanti sanificazioni degli ambienti di lavori. Da ultimo, non meno importante, incentivare, ove possibile, la turnazione dei lavoratori e lo smart working.
Consultare il medico del lavoro
Fatto a ciò, il datore di lavoro potrà coordinarsi con il medico del lavoro che, in scienza e coscienza, deciderà se richiedere a specifiche categorie di lavoratori l’effettuazione del test diagnostico.
Analoghe considerazioni potrebbero applicarsi ai vaccini?
Sulla base del ragionamento sopra svolto, possono e potranno essere resi obbligatori dalla compagine datoriale al fine di consentire un sereno svolgimento di determinate mansioni lavorative.
A parere di chi scrive, la riserva di legge prevista dalla Costituzione (art. 32, secondo comma) in tema di trattamenti sanitari dovrebbe essere, infatti, coordinata con le disposizioni sopra richiamate in tema di lavoro al fine d consentire il rispetto degli obblighi imposti al datore di lavoro dal citato art. 2087 Cod. Civ. e dal Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro).
Avv. Michele Sacchi
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