Ultimo aggiornamento 17 Giugno 2021
I messaggi di testo (sms) rappresentano lo strumento di comunicazione più utilizzato dalle persone per la loro praticità e semplicità.
Proprio perché può risultare difficile incontrarsi o sostenere una comunicazione al telefono, spesso i genitori separati prendono delle decisioni che riguardano i propri figli scambiandosi sms.
E’ possibile raccogliere il consenso dell’ex coniuge tramite sms su una spesa straordinaria?
Il caso tipico è quello di un genitore che deve affrontare una spesa straordinaria (si pensi alla retta dell’asilo) che richiede ed ottiene, per il tramite di un sms, il consenso dell’altro genitore.
L’eventuale sms nel quale emerge l’adesione dell’altro coniuge ha efficacia probatoria in un eventuale giudizio?
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha di recente statuito che
“lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime” (Cass. 5141/20119).
Dunque, il messaggio di testo può costituire piena prova del prestato consenso dell’altro coniuge a sostenere le spese straordinarie.
Questo comporta che se il coniuge che ha prestato consenso per il tramite di sms poi non corrisponde la sua quota parte, il genitore che ha sostenuto la totalità della spesa straordinaria potrà agire in giudizio per ottenere la restituzione delle somme anticipate.
Il caso oggetto di una recentissima pronuncia
Una madre ha adito le vie giudiziarie per vedersi rimborsare la quota di spettanza del padre delle rette dell’asilo del loro figlio minore. Trattandosi di spesa straordinaria, infatti, non poteva essere ricompresa nella somma che mensilmente il padre versava a titolo di mantenimento per il figlio.
L’uomo negava di aver prestato il proprio consenso all’anzidetta spesa straordinaria, sebbene la donna avesse prodotto in giudizio tre messaggi telefonici dai quali emergeva la sua adesione all’iscrizione del minore all’asilo nido ed all’accollo della metà della retta dovuta.
La questione viene decisa dalla Suprema Corte di Cassazione in quanto l’uomo lamentava l’efficacia probatoria che era stata riconosciuta giudizialmente ai tre messaggi telefonici riprodotti.
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 17 luglio 2019, n. 19155 ha rigettato il ricorso proposto dall’uomo ribadendo che il messaggio di testo contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e fa piena prova in giudizio dei fatti e delle cose ivi rappresentate.
Lo stesso discorso vale per le e-mail?
La domanda sorge spontanea, visto che ormai ogni persona possiede e utilizza un indirizzo di posta elettronica.
Sul punto, la Giurisprudenza ha precisato che anche il messaggio di posta elettronica costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.
“Seppure privo di firma – secondo gli Ermellini – rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime“(Cass. Civ. n. 11606/2018).
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