Ultimo aggiornamento 6 Ottobre 2021
Il patto di prova è una clausola che, seppur non essenziale, viene spesso inserita nel contratto di lavoro.
Patto di prova: che cos’è?
Il patto di prova è quella clausola che, esprimendo una condizione “risolutiva” (o meglio: di recedibilità), è apposta per subordinare l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo di prova.
La possibile reciproca convenienza del patto di prova
Con tale patto si tutela l’interesse comune alle due parti del contratto di verificare la reciproca convenienza dello stesso.
Durante il periodo di prova, il datore di lavoro ha la possibilità di valutare le capacità e le competenze del lavoratore. Il lavoratore, per parte sua, può valutare l’entità della prestazione richiestagli, le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro e l’interesse verso il ruolo assegnato (cfr. Cass. 4635/2016).
Patto di prova: disciplina di Legge
A norma dell’art. 2096 c.c., il “patto di prova” deve risultare da atto scritto e durante tale periodo ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità.
La durata del patto di prova è stabilita nei contratti collettivi
La durata massima della prova è stabilita dai contratti collettivi. Trascorso il relativo periodo senza che intervenga recesso alcuno, l’assunzione diviene definitiva.
La durata del periodo di prova, normalmente, è proporzionata alla qualità ed all’intensità della mansione. In sintesi, più è alto il livello in cui il lavoratore è inquadrato, più è lunga la durata del periodo di prova fino a toccare, in alcuni contratti (normalmente per il livello impiegatizio più alto e per i “quadri”), sei mesi.
Il periodo di prova può essere ridotto dalle parti
La durata del periodo di prova può essere regolata concordemente dalle parti. Come visto, i contratti collettivi stabiliscono solo la durata massima.
Pertanto datore e prestatore possono stabilire una durata minore rispetto alle norme collettive, ma mai maggiore.
In questo ultimo caso, la durata del periodo è de jure (a norma del secondo comma dell’art. 2077 c.c.) limitata al massimo previsto.
L’eccezione richiamata in una recente pronuncia giurisprudenziale
Unica eccezione, come ricorda la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 9798/2020, è in quei casi in cui
“…il prolungamento si risolva in concreto in una posizione di favore per il lavoratore, con onere probatorio gravante sul datore di lavoro” e comunque solo nelle ipotesi di particolare complessità delle mansioni.
E’ possibile pattuire una durata minima garantita?
Di importanza fondamentale è ricordare altresì che le parti sono libere di recedere dal rapporto mentre la prova è in corso, a meno che – in sede di apposizione della clausola, quindi al momento dell’assunzione – non abbiano pattuito una durata minima garantita.
Il lavoratore deve esercitare concretamente la prova
In ogni caso, occorre sottolineare come il lavoratore deve essere posto nella condizione di esercitare concretamente la prova.
In caso contrario, questi può impugnare il recesso datoriale (eventualmente intervenuto anche prima della scadenza prevista), dimostrando che in realtà la prova non si sia svolta con le modalità o nei tempi adeguati, oppure che la prova stessa sia stata positivamente superata.
La proroga del patto di prova è possibile?
È per questo che, ad esempio in caso di malattia od infortunio, si può legittimamente parlare di “proroga” del patto di prova.
Il numero di giorni (o mesi) pattuiti, ai fini della corretta valutabilità della reciproca convenienza, dovrà pertanto essere conteggiato tenendo conto di eventuali interruzioni della prestazione che non rientrino nella “normalità” del rapporto di lavoro come, ad esempio, il riposto festivo o settimanale.
E’ legittima la richiesta di proroga del patto di prova del datore di lavoro in assenza di infortunio o malattia?
Pensiamo quindi, in concreto, al caso in cui un datore di lavoro – in imminenza della scadenza del periodo di prova avente una durata, concordemente stabilita, inferiore rispetto a quella massima consentita dal contratto collettivo – desideri continuare a valutare le capacità del proprio dipendente anche oltre la scadenza del termine.
Il parere dell’Avv. Michele Sacchi
A parere di chi scrive, nemmeno con un accordo in sede sindacale – quindi in una sede specificatamente preposta a rendere “tombali” le rinunce e le transazioni del lavoratore – mirato ad ottenere una “novazione” del contratto già stipulato, sarebbe possibile rideterminare, in corso di vigenza del rapporto di prova “originario”, la durata del patto di prova.
Questo, essenzialmente, per due ragioni, parimenti dirimenti e con esiti pratici identici.
La dubbia volontà del lavoratore…
Dapprima ritengo che, in una tale circostanza, la volontà del lavoratore che accetti di prolungare successivamente alla sua stipula del contratto la durata del patto di prova originario non possa essere considerata liberamente formatasi a norma dell’art. 1427 c.c..
Il lavoratore, infatti, potrebbe non avere alternative ad accettare un tale prolungamento (il “ricatto” anche non esplicito, infatti, potrebbe essere il seguente: “o accetti il prolungamento, oppure, tanto peggio, poiché recedo dal contratto tra pochi giorni in virtù del patto di prova originario…”) nella speranza di arrivare, anche se più tardi di quanto paventato inizialmente, alla stabilizzazione del contratto.
Il diritto non ancora maturato…
Il secondo motivo, invece, riguarda il principio giuslavoristico generale secondo il quale le rinunce e le transazioni devono avere ad oggetto diritti già maturati e che fanno già parte del patrimonio del lavoratore, e quindi non diritti futuri la cui esistenza o maturazione è ancora incerta. Un prolungamento della durata del patto di prova, pertanto, non soddisferebbe tale requisito per ovvie considerazioni logiche.
Pertanto, trattandosi di due aspetti che portano parimenti alla nullità della pattuizione (si ripete: anche nel caso in cui essa avvenisse con la “benedizione” del sindacato), il lavoratore avrebbe diritto ad impugnare tale patto “di proroga”.
Peraltro, il lavoratore potrebbe contare sul termine ordinario decennale dell’impugnazione, in luogo al minor termine decadenziale di 6 mesi previsto dall’art. 2113 c.c. in caso di accordo in sede sindacale.
Lo Studio Legale Lambrate informa …
L’Avv. Michele Sacchi collabora con lo Studio Legale Lambrate nella gestione delle posizioni che riguardano il patto di prova e, più in generale, nelle posizioni di diritto del lavoro.
Avv. Michele Sacchi