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L’art. 230 bis Codice Civile disciplina l’impresa familiare.

La ratio dell’istituto giuridico dell’impresa familiare è quella di salvaguardare i diritti del familiare che presta lavoro all’interno dell’attività di famiglia senza diritti riconosciuti.

In effetti, la norma ha carattere residuale e si applica solo se tra le parti non sia configurabile un diverso rapporto lavorativo.

Godono della disciplina di cui all’art. 230 bis Cod. Civ. il coniuge, parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.

Profili economici

Sul piano economico l’art. 230 bis Cod. Civ. riconosce al familiare lavoratore il diritto al mantenimento, il diritto agli utili ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’attività, anche in ordine all’avviamento.

Il familiare ha diritto a tanto alla condizione che abbia prestato in modo continuativo la sua attività di lavoro nell’impresa familiare.

Come è noto, ai sensi dell’art. 230 bis Cod. Civ., solo il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nell’impresa familiare ha diritto agli utili dell’impresa stessa in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.

La pretesa azionata in via giudiziaria richiede che il familiare dimostri di aver prestato attività lavorativa in maniera continuativa, non saltuaria, anche part time.

In mancanza dei requisiti sopra precisati, difetta ogni diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa familiare.

Il valore di quello che spetta al familiare che abbia lavorato in modo continuativo nell’impresa familiare deve però essere proporzionato alla quantità e qualità del suo apporto lavorativo, nonché deve rapportato alla condizione patrimoniale dell’Impresa familiare.

La Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. lavoro Sent., 08/03/2011, n. 5448 rv. 616446) ha precisato che:la partecipazione agli utili per la collaborazione prestata nell’impresa familiare, ai sensi dell’art. 230 bis cod. civ., va determinata sulla base degli utili non ripartiti al momento della sua cessazione o di quella del singolo partecipante, nonché dell’accrescimento, a tale data, della produttività dell’impresa (“beni acquistati” con gli utili, “incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento”) in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato ed è, quindi, condizionata dai risultati raggiunti dall’azienda, atteso che gli stessi utili – in assenza di un patto di distribuzione periodica – non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti ma al reimpiego nell’azienda o in acquisti di beni. (Nella specie, la S.C, in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso ogni diritto del familiare collaborante, attesa la mancata prova dell’esistenza, al momento della cessazione dell’impresa, di utili da distribuire ovvero di incrementi aziendali, restando inammissibile la richiesta di consulenza d’ufficio in quanto inidonea ad assolvere una funzione esplorativa). (Rigetta, App. Bolzano, 11/05/2006)”.

Come pure gli Ermellini (ex multis e per tutte Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 15/07/2009, n. 16477 (rv. 609947) hanno statuito cheil diritto agli utili dell’impresa familiare, previsto dall’art. 230 bis cod. civ., è condizionato dai risultati raggiunti dall’azienda, essendo poi gli stessi utili naturalmente destinati (salvo il caso di diverso accordo) non alla distribuzione tra i partecipanti ma al reimpiego nell’azienda o in acquisti di beni. Ne consegue che la maturazione di tale diritto – dalla quale decorre la prescrizione ordinaria decennale – coincide, in assenza di un patto di distribuzione periodica, con la cessazione dell’impresa familiare o della collaborazione del singolo partecipante. (Rigetta, App. Venezia, 10/08/2005)”.

Il profilo amministrativo e fiscale.

Sul piano gestionale, il familiare lavoratore dell’impresa familiare ha poi diritto a partecipare alle decisioni  relative  all’impiego degli utili e degli incrementi, oltreché alle decisioni inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa.

Sul piano fiscale, i contributi versati per il familiare siano totalmente deducibili dal reddito delle persone fisiche.

E’ noto infatti che (Cass. civ. Sez. V Sent., 20/12/2019, n. 34168 (rv. 656400-01) “in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, il titolare dell’impresa familiare che versi contributi previdenziali nell’interesse dei collaboratori può portare in deduzione il relativo importo unicamente nelle ipotesi in cui il collaboratore sia un familiare indicato nell’art. 433 c.c. e a condizione che sia persona a suo carico (Rigetta, COMM.TRIB.REG. ROMA, 03/03/2015)”.

Il consiglio dell’Avvocato

Gli Avv.ti Alessandra Giordano ed Elena Laura Bini precisano che: “poichè alle volte l’istituto dell’Impresa familiare viene in rilievo al momento della separazione dei coniugi, è bene prendere in considerazione questa eventualità già al tempo della sua costituzione”.

 


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