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Ultimo aggiornamento 6 Ottobre 2021

L’appalto di manodopera è uno dei temi più dibattuti nell’ambito dell’intero diritto del lavoro.

Sono molte le società (spesso organizzate in forma di cooperativa) che forniscono manodopera ad altri operatori economici. Questo perchè sono molti gli operano economici che ricercano forza lavoro flessibile ad un costo minore rispetto al rapporto di lavoro subordinato.

In quali casi un datore di lavoro può lecitamente appaltare parte del personale ad un altro soggetto senza subire le conseguenze legali di una illegittima interposizione?

Le elaborazioni giurisprudenziali sul tema non mancano, così come alcuni punti di difficile interpretazione pratica.

Il contratto di appalto nell’ambito giuslavoristico

Innanzitutto, occorre ricordare come, a norma dell’art. 1655 c.c., l’appalto sia quel contratto tramite il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, a favore di un’altra parte (committente o appaltante).

Con particolare riferimento alla materia lavoristica, ed in applicazione dell’art. 29, comma 1, del D.Lgs. 276/2003, il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per due caratteristiche.

La prima riguarda l’esistenza di una organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto. La seconda, invece, attiene all’assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio d’impresa.

Dunque, in quali casi l’appalto di manodopera è lecito?

Esistono elementi qualificatori dell’appalto “genuino” (e cioè “lecito”). In particolare, un appalto è lecito se sussistono i seguenti requisiti:

L’oggetto dell’appalto

L’appalto deve prevedere la realizzazione di un’opera oppure, in alternativa, l’esecuzione di un servizio.

In altri termini, l’oggetto dell’appalto (tanto nel caso riguardo la realizzazione di un’opera, quanto riguardi la prestazione di un servizio) deve riguardare un’attività che, rispetto a quella esercitata imprenditorialmente dall’appaltante, sia solamente accessoria e non, nei fatti, parte del c.d. “core business” dello stesso appaltante, ovvero l’oggetto specifico (ovvero uno degli oggetti) dell’attività imprenditoriale dello stesso.

Il personale dell’appaltatrice non deve essere inserito stabilmente nel ciclo produttivo di quest’ultima

Occorre quindi verificare che il personale dell’appaltatrice non sia inserito stabilmente a tutti gli effetti nel ciclo produttivo di quest’ultima. In altri termini, solo se è possibile scindere esattamente la prestazione fornita dai lavoratori appaltati rispetto all’intero ciclo produttivo dell’appaltante, allora l’appalto potrebbe essere considerato genuino. Esempi classici di appalto genuino sono quelli del servizio di manutenzione ordinaria dell’impiantistica, quello del facchinaggio o della cura del verde.

La verifica dei mezzi di produzione e dell’utilizzazione dei beni strumentali dell’appaltatore

Deve essere svolta un’indagine in merito alla sussistenza dell’organizzazione dei mezzi di produzione da parte dell’appaltatore, vale a dire la predisposizione e l’utilizzazione di beni strumentali (es.: macchinari e attrezzature, impiego di capitali propri o di investimento, ecc…) e/o di beni immateriali (quali know-how, professionalità, competenze specifiche e specializzate, ecc…) propri.

Il rischio d’impresa dell’appaltatore

Deve essere identificabile il c.d. “rischio d’impresa” in capo all’appaltatore, che non può essere considerato il mero rischio di non ricevere il corrispettivo concordato per l’esecuzione dell’opera o del servizio.

Rispetto a questo specifico requisito, la Circolare n. 5 del 11.02.2011 del Ministero del Lavoro che ha specificato che, in capo all’appaltatore, debbano sussistere:

– l’esercizio di un’attività imprenditoriale (con questo includendo però anche le attività a rilevanza economica svolte dalle cooperative);

– lo svolgimento di una comprovata attività produttiva;

– la c.d. pluricommittenza.

Il potere di eterodirezione sui lavoratori da parte dell’appaltatore

L’effettivo esercizio dei poteri di eterodirezione sui lavoratori appaltati da parte dell’appaltatore.

Ciò significa che le direttive generali ai lavoratori appaltati debbono essere impartite direttamente dall’appaltatore. L’appaltatore deve necessariamente rappresentare il “filtro” tra la manodopera appaltata e l’appaltante.

Il livello di specializzazione e conoscenza dell’appaltatore 

Il comprovato livello di specializzazione e conoscenza del settore dell’appaltatore.

Questo requisito deve essere inteso come “qualità imprenditoriale intrinseca” e non come caratteristica specifica meramente da ascriversi ai singoli lavoratori appaltati.

Al riguardo, l’art. 26, comma 1, lett. a) D. Lgs. 81/2008, impone al committente la verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore (e non dei lavoratori appaltati) in relazione ai lavori, ai servizi ed alle forniture da affidare in appalto.

Dunque, l’appalto di manodopera è illecito se mancano i requisiti di autonomia e genuinità sopra spiegati.

Le pronunce giurisprudenziali

La Suprema Corte di Cassazione afferma che

…il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, oper[a] tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore / datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo [enfasi aggiunta] (Sentenza 26 ottobre 2018, n. 27213).

Ciò significa che l’organizzazione della prestazione lavorativa deve essere concretamente ed oggettivamente organizzata da parte dell’appaltatore.

Un’altra pronuncia della Suprema Corte di Cassazione

Infine, la recente sentenza n. 20414 del 29 luglio 2019, recita

“l’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore”.

L’appaltante, dunque, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto,  non deve esercitare diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell’appaltatore.

“Per verificare la genuinità del contratto d’appalto – precisa la Suprema Corte – possono senz’altro richiamarsi i principi espressi dalla giurisprudenza formatasi nella vigenza della legge n. 1369 del 1960, ed in particolare, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di una propria organizzazione, ciò che è essenziale, per la sussistenza di un vero e proprio contratto di appalto, è che i lavori appaltati siano effettivamente svolti da un soggetto che abbia concretamente la forma e la sostanza di una impresa [enfasi aggiunta], sia con riguardo al profilo tecnico, sia sotto l’aspetto strettamente economico ed organizzativo.”

Il parere dell’Avvocato

L’Avv. Michele Sacchi precisa che “Come precisato, l’appalto di manodopera è lecito se l’appaltatore, in quel determinato settore, avrebbe le caratteristiche per raggiungere, anche in piena autonomia, un determinato obbiettivo produttivo. C’è davvero da chiedersi quante società cooperative di servizi abbiano tale forma e sostanza di impresa. In tal senso, al fine di tutelare i diritti dei lavoratori ed il principio di libera concorrenza tra le imprese, sarebbe più che auspicabile una maggiore attenzione sul tema da parte degli organi ispettivi”.


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