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Ultimo aggiornamento 17 Giugno 2021

Di recente la Suprema Corte di Cassazione ha statuito circa le sorti dell’assegno di mantenimento riconosciuto con sentenza civile prima che venisse dichiarata, con sentenza del tribunale ecclesiastico, la nullità del vincolo matrimoniale, riconosciuta nell’ordinamento italiano a seguito di delibazione.

In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che, in una simile ipotesi, tale obbligo viene meno in virtù dell’efficacia retroattiva della dichiarazione di invalidità originaria del matrimonio.

Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, il vincolo matrimoniale si estingue. Tale vincolo, infatti, viene meno in caso di divorzio (e non con la separazione dove il rapporto matrimoniale permane determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la fedeltà, la convivenza, la collaborazione) e, parimenti, anche in caso di delibazione nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.

Le due pronunce divergono solamente nel fatto che mentre il divorzio interviene a seguito di vizi riguardanti il rapporto coniugale successivo all’atto di matrimonio, la pronuncia di nullità del matrimonio opera in caso di vizi che erano già presenti all’atto matrimoniale.

In entrambi i casi, comunque, il vincolo matrimoniale si scioglie, con la diretta conseguenza che gli ex coniugi divengono nuovamente “persone singole” e non sono più vincolati al reciproco dovere di assistenza morale e materiale ai sensi dell’art. 143 , comma 2, Cod. Civ.

Per quanto attiene al diritto all’assegno divorzile,  questo ha natura assistenziale e trova fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di “solidarietà economica” (art. 2, in relazione all’art. 23 Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della persona economicamente più debole (cd. “solidarietà post coniugale”)

Quanto ai requisiti, la giurisprudenza ha di recente precisato che il diritto all’assegno divorzile è condizionato “al previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno, o comunque dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive” (Cass. Civ. sentenza n. 11504/17)

Orbene, fatte queste premesse, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che “conseguente alla sopravvenienza della dichiarazione ecclesiastica di nullità originaria di quel vincolo, non possono resistere le statuizioni economiche, relative al rapporto tra i coniugi, contenute nella sentenza di separazione, benchè divenuta cosa giudicata, apparendo irragionevole che possano sopravvivere pronunce accessorie al venir meno della pronuncia principale dalla quale queste dipendono“.

Conclude sul punto, meglio precisando, la Suprema Corte “non si tratta, dunque, di stabilire se la sopravvenienza della delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale costituisca, o meno, giustificato motivo per la modifica del provvedimento relativo all’assegno di mantenimento riconosciuto in sede di separazione personale, quanto, piuttosto, di prendere atto del fatto che, una volta dichiarata l’invalidità originaria del vincolo matrimoniale, vengono meno il presupposto per il riconoscimento di quell’assegno e le statuizioni accessorie ad esso connesse e da esso inevitabilmente dipendenti” (Cass. n. 11553 del 11 maggio 2018).