La donazione, anche se in forma indiretta (per il tramite, ad esempio, di conferimenti in denaro dal proprio conto corrente con bonifici o assegni per l’acquisto di un immobile), ha delle conseguenze importanti in sede di divisione ereditaria, quali la collazione.
In effetti, il bene o il bene oggetto di donazione può essere oggetto di collazione da parte degli eredi necessari, anche detti legittimari, a cui la Legge riserva una quota di eredità indisponibile.
La funzione della collazione è quella di mantenere tra i coeredi legittimari quella proporzionalità di quote stabilita appunto dalla Legge.
Il presupposto è che, con le donazioni conferite in vita, il de cuius non abbia voluto alterare il trattamento spettante ai suoi eredi necessari/legittimari.
La collazione opererebbe, secondo la Suprema Corte (Cass. Civ., Sezione Seconda, sentenza n. 3013 del 10 febbraio 2006), sia per la successione legittima sia per quella testamentaria.
Con la collazione, gli eredi necessari devono conferire alla massa ereditaria il bene o i beni attribuiti dal de cuius in vita, salvo che quest’ultimo non li abbia dispensati dal farlo.
La dispensa dalla collazione ha effetto, tuttavia, solo nei limiti della quota disponibile ex art. 737 Cod. Civ.
La collazione di un bene immobile ha luogo o mediante conferimento alla massa ereditaria del bene in natura oppure tramite imputazione del suo valore alla propria quota, a scelta del beneficiario, salvo che l’immobile non sia stato alienato o ipotecato.
In quest’ultimo caso, infatti, alla collazione si procede ovviamente con l’imputazione del valore.
Recentemente, poi, la Suprema Corte (Cassazione Civile, Seconda Sezione, ordinanza n. 28785 del 9 novembre 2018), ha esaminato la questione relativa ad una disposizione testamentaria, con la quale il testatore dichiarava che un legittimario era stato già interamente soddisfatto con donazioni pregresse.
Orbene, secondo la Corte di Cassazione, l’affermazione nel testamento di aver soddisfatto le pretese del legittimario per il tramite di donazioni ha valore di mera dichiarazione, non riconducibile alla volontà testamentaria.
Ciò, in virtù del fatto che la quota di legittima è intangibile e, pertanto, la volontà del testatore non può incidere sulla quota di riservata dalla Legge.
In pratica, il testatore non può privare il legittimario della sua quota di eredità mediante una dichiarazione testamentaria, sfornita di valore probatorio.
Tale considerazione ha valore anche nel caso in cui il testamento sia stato reso avanti al Notaio (con testamento pubblico), in ragione del fatto che gli atti notarili, in quanto atti pubblici, fanno piena prova della provenienza del documento e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza ex art. 2700 Cod. Civ.
Pertanto, non saranno dispensate da collazione le donazioni dichiarate nel testamento sfornite di prova.
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