Contraendo matrimonio i coniugi possono scegliere quale regime patrimoniale adottare per la gestione e l’acquisto dei beni acquistati dopo il matrimonio.
In mancanza di una diversa convenzione, la Legge prevede che il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è costituito dalla comunione dei beni.
La comunione legale dei beni tra i coniugi
La comunione legale dei beni trai coniugi è una comunione senza quote nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni della comunione e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Titolari della comunione, infatti, possono essere i soli coniugi.
L’amministrazione del patrimonio comune
Anzitutto l’amministrazione del patrimonio in comune spetta ad entrambi i coniugi.
Per quanto attiene agli atti di ordinaria amministrazione, quindi gli atti di utilizzazione, conservazione o manutenzione dei beni che riguardano i bisogni ordinari della famiglia, questi possono essere compiuti da ciascun coniuge disgiuntamente.
Gli atti di straordinaria amministrazione, invece, devono essere compiuti congiuntamente da entrambi i coniugi.
Quali sono le conseguenze se uno dei due coniugi, all’insaputa dell’altro, aliena un bene oggetto di comunione legale?
Ai sensi dell’art. 184 Cod. Civ., se gli atti riguardano beni immobili o beni mobili registrati, questi sono annullabili dal coniuge estromesso entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e, in ogni caso, entro un anno dalla data di trascrizione.
Si pensi, ad esempio, all’atto di disposizione di un immobile o di un’autovettura, oggetto di comunione legale, effettuato da un coniuge senza il ne consenso dell’altro coniuge.
Se, invece, il coniuge ha posto in essere atti di disposizione su beni mobili non soggetti a registrazione, la Legge impone al coniuge di ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto in questione, o qualora ciò non sia possibile, di pagare l’equivalente del bene, secondo i valori correnti all’epoca della ricostruzione della comunione.
La Legge, quindi, non stabilisce che l’atto di trasferimento è annullabile o inefficace. Pertanto l’alienazione fatta da un coniuge nei confronti di un terzo di un bene mobile senza il consenso dell’altro coniuge è pienamente valida ed efficace.
Si pensi, ad esempio, ad un coniuge che dona dei gioielli compresi nella comunione coniugale a terzi.
Lo scioglimento della comunione coniugale
La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane sino al momento del suo scioglimento che, in caso di separazione personale dei coniugi, si realizza con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale.
Successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di separazione la comunione legale si scioglie e i beni cadono in comunione ordinaria.
Lo scioglimento della comunione apre la fase della liquidazione della stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la propria quota, pari alla metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle attività separate non consumati.
Pertanto, allorchè un coniuge abbia compiuto un atto dispositivo di beni compresi nella comunione, depauperandone il patrimonio in violazione dell’art. 184 Cod. Civ., una volta sciolta la comunione, il coniuge estromesso potrà richiedere il valore pro quota dei beni alienati.
L’art. 192 Cod. Civ., infatti, prescrive che al momento dello scioglimento della comunione, il coniuge è tenuto a rimborsare o restituire all’altro gli atti dispositivi effettuati in violazione delle norme che disciplinano la comunione legale.
Il caso oggetto della Suprema Corte di Cassazione
In materia, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 6459 del 6 marzo 2019.
Il caso oggetto della pronuncia riguardava una marito che aveva donato alcune quote societarie, oggetto di comunione coniugale, alla figlia, senza il consenso della moglie.
L’ex moglie, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, aveva adito il Tribunale per ottenere la condanna dell’ex marito al pagamento del controvalore della metà delle quote societarie donate alla figlia.
Sul punto, gli Ermellini hanno precisato che
“allorché un coniuge abbia compiuto, in violazione della regola della congiuntività supposta dall’art. 184 Cod. Civ., un atto dispositivo di beni della comunione depauperandone il patrimonio, come qui avvenuto con la donazione del P. alla figlia delle quote societarie, lo stesso è obbligato a corrisponderne all’altro coniuge il valore pro quota determinato al momento dello scioglimento della comunione (in quanto da tale momento soltanto diviene esigibile l’obbligo del rimborso, a meno che non fosse stato richiesto anteriormente), salvo che dimostri che l’atto sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia” (Cass. Civ. sentenza n. 6459 del 6 marzo 2019).
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