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Nella vita si affrontano momenti di profonda sofferenza nei quali, pervasi da un vero senso di impotenza, ci si sente completamente svuotati.

Certamente, la morte di un proprio caro è un evento drammatico, fonte di incolmabili pregiudizi.

Dal punto di vista giuridico, il pregiudizio subito per la tragica scomparsa di un persona cara, in alcuni casi, può trovare ristoro nel c.d. “danno da perdita del rapporto parentale”.

Tra i casi in questione, ad esempio, vi è l’ipotesi in cui il proprio caro è rimasto vittima incolpevole di un sinistro stradale, costatogli la vita.

Cos’è il danno da perdita del rapporto parentale?

Questo danno ha lo scopo di ristorare, per quanto possibile, il vuoto lasciato dall’improvvisa e prematura scomparsa del proprio caro ed i pregiudizi di natura economica che si verificano nei superstiti della persona scomparsa.

Chi è legittimato a richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale?

Sono certamente legittimati i familiari (moglie/marito, figli, sorelle/fratelli), l’unito civilmente ed il convivente.

Al convivente sono riconosciuti gli stessi diritti applicabili alla famiglia de iure. A stabilirlo è oggi la nota Legge Cirinnà, L. n. 76 del 20 maggio 2016.

L’art. 1, comma 49, infatti, recita “in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite“.

Il figlio del convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno da perdita del compagno – convivente del proprio genitore?

Il figlio del convivente ha diritto a richiedere ed ottenere il risarcimento per la prematura perdita, solo se sussistono determinate condizioni.

Presupposto necessario, infatti, è che tra Egli ed il de cuius si sia instaurato un vero e proprio rapporto genitoriale di fatto.

In altri termini, il legame tra il de cuius ed il figlio del convivente deve essere stato tale da potersi qualificare come di un familiare in senso stretto.

Come precisato dalla recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione

il rapporto affettivo tra il figlio del partner e il compagno del suo genitore può dirsi rilevante per il diritto quando si inserisca in quella rete di rapporti che sinteticamente viene qualificata come famiglia di fatto” (sent. n. 15766 del 15 giugno 2018)

In particolare

non è rilevante la mera esistenza del vincolo affettivo, ma il suo inquadramento entro le coordinate della famiglia di fatto, la cui sussistenza può desumersi da una serie di indici“.

Tra gli indici rilevanti si annoverano: la durata della convivenza con il de cuiuspartner del genitore, le frequentazioni giornaliere, l’ascolto reciproco e, soprattutto, la concreta assunzione, da parte del partner del genitore, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà di norma attribuiti al genitore naturale.

Il consiglio dell’Avvocato

L’avv. Elena Laura Bini precisa che “per vedersi riconosciuto il danno da perdita parentale, il figlio del convivente dovrà, dunque, allegare ogni evidenza utile dalla quale potrà emergere che il de cuius era, di fatto, assimilabile al genitore naturale. E’, invece, escluso che il figlio possa chiedere il riconoscimento del danno derivante dalla perdita di serenità e felicità del suo genitore, per il venir meno del rapporto che lo legava con il convivente deceduto. Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, ha infatti escluso che tale pregiudizio possa essere ristorato in quanto non è conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito “.

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