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L’accordo raggiunto dai coniugi che regola le modalità di devoluzione delle rispettive successioni è un patto successorio e, in quanto tale, è nullo.

L’eredità può essere devoluta solo tramite testamento o, in mancanza, è la Legge a disciplinare la successione.

L’art. 457 Cod. Civ. stabilisce che “l’eredità si devolve per legge o per testamento”. Questa previsione esclude che si possa disporre dei propri beni per il tempo in cui si avrà cessato di vivere mediante un contratto.

L’unico modo per poter disporre della propria successione è dunque quello di redigere un testamento. Il testamento è un negozio unilaterale non recettizio che può essere revocato e modificato in ogni tempo.

Il testamento può essere sempre essere modificato

Sul punto, si ricorda che l’art. 679 Cod. Civ. stabilisce espressamente che “non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà revocare o mutare le disposizioni testamentarie“, e che “ogni clausola o condizione contraria non ha effetto“.

L’anzidetto quadro normativo è completato dalla previsione di cui all’art. 458 Cod. Civ che sancisce la nullità dei patti successori.

Il divieto dei patti successori

I patti successioni sono vietati perchè, vincolando il de cuius, privano quest’ultimo di quella libertà di disporre delle proprie sostanze, per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Questa libertà, espressione della più generale libertà della persona, è riconosciuta dalla Legge ad ogni individuo fino al momento della sua morte.

I patti successori sono dunque vietati dall’ordinamento in quanto sono accordi negoziali che limitano la libertà del de cuius di disporre delle proprie sostanze per testamento fino all’ultimo istante della sua vita.

Esempi di patti successori vietati dalla Legge

Secondo la giurisprudenza di legittimità sono patti successori:

  • le convenzioni aventi ad oggetto una vera e propria istituzione di erede rivestita della forma contrattuale;
  • le convenzioni che hanno ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un “vinculum iuris” di cui la disposizione ereditaria rappresenti l’adempimento;
  • gli accordi negoziali tra due o più parti dai quali risulti che il promittente abbia disposto della propria successione, sottoponendosi ad un vincolo giuridico che lo ha privato della libertà di rideterminare le sue ultime volontà.

L’accordo dei coniugi sulla loro eredità è nullo

In accordo con i principi sopra menzionati, la Giurisprudenza ha qualificato un accordo stipulato da due coniugi come un patto successorio, decretandone la sua nullità.

Nel menzionato atto i coniugi avevano convenuto che in caso di morte pressochè contemporanea il 50% degli utili derivanti dall’attività di impresa esercitata dal marito sarebbero passati ad entrambi i rispettivi figli nella egual misura del 50%. I coniugi avevano altresì previsto che l’accordo raggiunto non poteva essere modificato senza il consenso e la firma di entrambi i contraenti.

L’accordo è stato qualificato come un patto successorio in quanto emergeva chiaramente che le parti avevano inteso regolare le rispettive successioni. Tanto era avvalorato dalla clausola che impediva una modifica unilaterale di tale accordo da parte di uno dei due coniugi.

In particolare, la predetta clausola privava le parti della loro facoltà di disporre diversamente per testamento, sottraendo al de cuius quella libertà di disporre della propria eredità che costituisce principio inderogabile dell’ordinamento.

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha espresso il seguente principio di diritto:

“deve ritenersi che la convenzione con la quale due coniugi dispongono dei loro beni (o di una parte di essi) in favore dei loro rispettivi figli, per il tempo in cui avranno cessato di vivere, stabilendo che l’accordo non potrà essere modificato senza consenso scritto manifestato da entrambi, limitando la possibilità per le parti di disporre dei loro beni mediante testamento, dà luogo ad un patto successorio, come tale vietato dall’art. 458 c.c. e, perciò, nullo; essendo per ciò stesso esclusa la configurabilità di un valido contratto a favore di terzi ai sensi dell’art. 1412 c.c.”( Cass. Civ. sentenza n. 27624 del 21 novembre 2017).


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