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Ultimo aggiornamento 17 Giugno 2021

E’ responsabile il medico che ha omesso di diagnosticare una grave malattia terminale

Il caso oggetto della recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione

Con atto di citazione i congiunti adivano le vie giudiziarie chiedendo il risarcimento del danno per la morte di un loro congiunto in quanto, recatosi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di zona lamentando violenti dolori retrosternali, non gli fu diagnosticato un infarto ma una semplice nevralgia.

A causa della negligenza e dell’imperizia del medico, che non aveva disposto l’immediato ricovero, il congiunto moriva il giorno seguente.

Dalla consulenza tecnica d’ufficio emergeva però che il congiunto era affetto da una gravissima patologia e che, anche se questa fosse stata immediatamente riconosciuta, la sua aspettativa di vita non poteva ritenersi superiore ad alcuni mesi. Nel caso di specie si trattava di 12 mesi, nell’ipotesi più favorevole, e di tre mesi secondo quella meno favorevole.

Sulla base di questi presupposti, la giurisprudenza di merito ha rigettato la domanda risarcitoria.

I congiunti, quindi, ricorrevano in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione ha precisato che “integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, ove risulti che, per effetto dell’omissione, sia andata perduta dal paziente la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli effettivamente vissuti” (Cass. Civ. Sez. III sentenza n. 16919 del 27 giugno 2018).

A ben vedere, il medico, non riconoscendo e non curando adeguatamente la malattia, ha cagionato una significativa riduzione della durata della vita del paziente, arrecando a quest’ultimo un danno risarcibile.

Sul punto, nella citata sentenza si legge “determina l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, ove risulti che, per effetto dell’omissione, sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza per alcune settimane od alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato, in più rispetto al periodo temporale effettivamente vissuto“.

Il parere dell’Avvocato

L’avv. Elena Laura Bini titolare dello Studio Legale Lambrate precisa che “la sentenza sopra citata è di notevole importanza in quanto enuncia sul tema un principio di diritto al quale le Corti di Merito dovrebbero conformarsi. In effetti, appare corretto (sia giuridicamente che moralmente) considerare risarcibile il danno derivante dal mancato prolungamento di vita; vita recisa proprio a causa della colpevole condotta del professionista“.