Può accadere che si venga sorpresi dal ricevimento di una lettera da parte di un curatore fallimentare.
Nella predetta lettera quest’ultimo può informare che è fallita la società con la quale si avevano intrattenuti rapporti commerciali ed intimare la restituzione di alcuni pagamenti ricevuti.
L’azione revocatoria fallimentare
E’, infatti, nell’esercizio delle funzioni proprie del curatore fallimentare esperire la c.d. azione revocatoria fallimentare.
L’art. 67 L.F. prescrive che alcuni pagamenti effettuati dalla società debitrice, poi fallita, possano essere revocati. In altri termini, questo comporta che il terzo che li ha ricevuti deve restituirli al fallimento.
Diverse sono le ipotesi in cui opera l’azione revocatoria fallimentare.
L’ipotesi di cui all’art. 67, comma 2, L.F.
Una di queste riguarda i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili se compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Banalmente, l’ipotesi è quella di una società che nei sei mesi prima della dichiarazione di fallimento abbia saldato una fattura esposta da una società sua creditrice.
Quel pagamento può essere oggetto di revocatoria fallimentare.
Quali pagamenti possono essere revocati?
Trattandosi di pagamenti normali, non sintomatici di per sè dello stato di insolvenza della società, per poter essere revocati devono sussistere determinati requisiti.
Il “periodo sospetto”
Anzitutto, i pagamenti devono essere stati compiuti nel c.d. “periodo sospetto”: ovvero nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso in cui la società abbia presentato domanda di concordato preventivo a cui è seguito poi il suo fallimento, il termine decorre dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.
La conoscenza dello stato di insolvenza
Se si tratta di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, la società che li ha ricevuti deve restituirli se conosceva lo stato di dissesto in cui versava la società debitrice.
Chi deve fornire la prova della conoscenza dello stato di dissesto da parte della società creditrice?
L’art. 67, comma 2, L.F. prevede che sia il curatore a dover fornire la prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del suo debitore.
Come si raggiunge la prova dello stato di insolvenza del debitore?
La giurisprudenza è granitica nel ritenere che la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo, pur potendo desumersi da elementi indiziari, connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, deve essere effettiva e non meramente potenziale.
La prova può dirsi raggiunta dalla mera pubblicazione di protesti in capo alla società debitrice?
La pubblicazione dei protesti non inverte le regole in tema di onere probatorio.
In altri termini, la pubblicazione dei protesti è solo un elemento sintomatico dell’astratta possibilità del creditore di conoscere l’esistenza dei protesti al momento in cui ha ricevuto il pagamento ma non esonera la curatela dall’offrire la prova che il creditore avesse la necessità di consultare il bollettino dei protesti.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che
“la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo, pur potendosi desumere da elementi indiziari, connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, e tra questi dall’avvenuta pubblicazione dei protesti, deve in ogni caso essere effettiva e non meramente potenziale.
Occorre dunque che il curatore offra
“la prova di concreti elementi di collegamento con detti indizi, dai quali possa desumersi che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza ed avvedutezza, e anche in considerazione delle concrete condizioni in cui si è trovato ad operare, non possa non aver percepito la situazione di dissesto in cui versava il debitore” (Cass. Civ. sentenza n. 10500 del 15 aprile 2019).
Diversamente, il pagamento corrisposto non potrà essere revocato.
Il consiglio dell’Avvocato
L’avv. Elena Laura Bini dello Studio Legale Lambrate precisa che “le azioni revocatorie possono essere esperite anche a distanza di diverso tempo dal compimento del pagamento. La legge, infatti, prevede che tali azioni possano essere promosse entro tre anni dalla dichiarazione di fallimento e, comunque, non oltre cinque anni dal compimento dell’atto. Pertanto, ricevuta una missiva di quel tenore, è opportuno verificare se sussistono le condizioni per opporsi alla richiesta di revoca avanzata dal curatore fallimentare. Diversamente, il pagamento incassato anche diverso tempo addietro potrebbe dover essere restituito“.
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