Spesso il manto stradale è causa di insidie, così i cittadini rimangono vittime di una rovinosa caduta cagionata da una profonda buca oppure da un tombino scoperto o traballante.
Dei danni riportati dal danneggiato risponde l’ente custode della strada ai sensi dell’art. 2051 Cod. Civ., che sancisce la responsabilità per le cose in custodia.
Ovviamente, il presupposto è che la rovinosa caduta cagionata da insidia del manto stradale non sia riconducibile a responsabilità del danneggiato.
In pratica, l’ente custode della strada dovrà, per sgravarsi da responsabilità, dimostrare che la rovinosa caduta sia imputabile a caso fortuito.
Nel concetto di caso fortuito è compreso, in casi come questi, anche la condotta imprudente o negligente del danneggiato.
Il fatto che il pericolo fosse visibile non sgrava di per sé da responsabilità l’ente custode della strada.
Il pericolo, infatti, può essere assolutamente visibile, ma non evitabile. Se il danneggiato non riesca a schivare un pericolo sì manifesto, ma non evitabile da nessuno, non è imprudente ed avrà diritto a vedersi risarcito del danno riportato (cfr. Cass. Civ. senten. N. 9547/2015).
L’ente custode della strada non potrà neppure sgravarsi da responsabilità dimostrando che il danneggiato poteva attuare manovre cautelative atte ad evitare l’evento dannoso.
Infatti, in tal caso dovrà provare al contempo che la manovra di emergenza per evitare il pericolo non avrebbe comportato altri pregiudizi per il danneggiato.
Così ha statuito la Cassazione Civile, con sentenza n. 6823 del 19 marzo 2018, con qui si tratta il caso di un ciclista, a cui l’ente custode della strada contestava di non aver sterzato verso il centro della carreggiata per evitare un tombino pericoloso.
La Cassazione ha statuito che la visibilità del tombino non comporta un automatismo circa l’evitabilità della caduta del ciclista.
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