Cos’è l’azione revocatoria fallimentare?
L’azione revocatoria è un’azione con la quale il curatore fallimentare agisce per ottenere la restituzione di pagamenti effettuati dal fallito in lesione della par conditio creditorum.
Ai sensi dell’art. 67 L.F. tale facoltà è riconosciuta al curatore fallimentare in diverse ipotesi, tutte tipizzate nella normativa in discorso. Ovviamente, non tutti i pagamenti possono essere revocati, poiché altrimenti il timore di un’azione revocatoria inibirebbe fortemente i mercati e le relazioni commerciali.
Le esenzioni all’azione revocatoria fallimentare
Tra le esenzioni all’azione revocatoria, l’art. 67, terzo comma, lettera a) sancisce che
“non sono soggetti all’azione revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso”.
La norma risponde all’esigenza sia
“di preservare la continuità dell’attività aziendale per garantire la conservazione dell’impresa in crisi in vista di un suo recupero, evitando che i fornitori, che vengono a conoscenza dello stato di difficoltà di quest’ultima, nel timore di una futura revoca dei pagamenti ricevuti, interrompano i rapporti, così impedendo la prosecuzione dell’attività” sia di tutelare i terzi “quando la normalità del rapporto lascia presupporre una mancanza di conoscenza in capo a questi ultimi dello stato di insolvenza”(Corte App. Milano, Sez. III, 12.10.2015, n. 3886).
Quale è lo scopo della normativa?
La ratio è quella di favorire la conservazione dell’impresa nell’ottica dell’uscita dalla crisi, mentre la precedente disciplina della revocatoria era ritenuta di serio ostacolo alle prospettive di risanamento dell’impresa (Cass. Civ. sentenza n. 25162/2016).
Dal punto di vista dei creditori, poi, lo scopo dell’esenzione è certamente quello di rassicurarli della stabilità di transazioni commerciali riconducibili ai normali rapporti di impresa.
Cosa si intende per pagamenti avvenuti nei termini d’uso?
La dizione normativa non è particolarmente chiara in quanto non specifica cosa debba intendersi con la locuzione “termini d’uso”.
Le interpretazioni giurisprudenziali
Sul punto, la giurisprudenza (in particolare Trib. Salerno n. 1559/2013) ritiene che “i pagamenti nei termini d’uso di cui alla lettera a) del terzo comma dell’articolo 67 L.F. sono quelli eseguiti con mezzo fisiologico ed ordinario ed altresì effettuati non necessariamente nei tempi previsti dal regolamento negoziale accettato dalle parti ma nei tempi in concreto utilizzati dalle parti nel corso dell’intero rapporto tra loro esistente”.
Nello stesso senso, la giurisprudenza (Trib. Roma n. 11407/2014) ha ritenuto che integrano l’ipotesi ex art. 67, terzo comma, lett. a) L.F. i pagamenti “che – pur diversi da quanto inizialmente previsto dai contraenti – siano riconducibili ad una convenzione tra di loro instauratasi successivamente in modo tacito o esplicito”.
Anche i pagamenti eseguiti in ritardo possono rientrare nell’anzidetta esenzione?
Si a condizione che siano stati compiuti secondo gli usi instaurati tra le parti.
Così, ad esempio, sono stati ritenuti nei termini d’uso i pagamenti avvenuti con lo stesso ritardo precedentemente tollerato dalla creditrice senza remore particolari.
Di recente, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia affermando un’importante principio di diritto
“il riferimento all’art. 67 L.F., terzo comma, lettera a) ai termini d’uso ai fini dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare attiene alle modalità di pagamento proprie del rapporto tra le parti e non già alla prassi del settore economico in questione” ( Cass. Civ. n. 25162/2016).
Alla luce di tale orientamento, quindi, potranno essere considerati esenti da revocatoria quei pagamenti che sono espressione di una consuetudine instaurata tra le parti a prescindere dai termini contrattuali o dalla prassi del settore economico nel quale operano la società fallita e la società creditrice.