Come è noto, i figli hanno diritto ad essere mantenuti, istruiti ed educati.
L’art. 147 Cod. Civ., infatti, impone ai coniugi il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, obbligandoli a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare.
Tali esigenze, infatti, devono essere estese anche all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Come si quantifica il contributo da versarsi a titolo di mantimento in favore dei figli?
Anzitutto, l’art. 148 cod. civ., prescrive che entrambi i coniugi sono tenuti a mantenere i figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Il predetto articolo, però, non detta un criterio automatico per determinare l’ammontare dei rispettivi contributi.
Nè può adottarsi il criterio del mero calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti; così facendo, infatti, verrebbe certamente penalizzato il coniuge economicamente più debole.
Per poter, dunque, determinare l’ammontare dei rispettivi contributi dovuti, è necessario affidarsi ad un criterio più complesso, che tenga conto della pluralità di aspetti che caratterizzano il menage familiare.
I criteri per determinare il mantenimento per il figlio
Per determinare il mantimento dovuto al figlio è necessario far riferimento ai redditi percepiti dai genitori, alla loro capacità di svolgere un’attività professionale o domestica ed ad ogni altra risorsa economica loro disponibile (quindi anche il valore intrinseco di beni immobili posseduti, siano essi abitati o diversamente utilizzati).
Il valore dell’assegno di mantenimento, quindi, deve essere quantificato sulla base di un’indagine comparativa di tutti i criteri sopra menzionati ed in relazione ad entrambi i genitori obbligati.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza n. 25134 del 10 ottobre 2018, ha precisato che “nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, il giudice di merito deve individuare, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonchè i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti”
La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione
Nel caso oggetto della pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso depositato da un padre nei confronti del quale, in appello, era stato rideterminato il contributo a titolo di mantenimento per il figlio da 800,00 euro ad euro 1.500,00 mensili.
Secondo gli Ermellini, infatti, la statuizione della Corte d’Appello era censurabile nella misura in cui il giudice del gravame nel rideterminare il contributo di mantenimento del figlio in euro 1.500,00 non si era attenuto ai principi sopra precisati.
Nella citata ordinanza si legge, infatti, “nel caso concreto, il giudice del gravame si è limitato, per quanto concerne le esigenze del minore, a dedurre – del tutto genericamente, e senza alcun riferimento specifico al caso concreto – l’impossibilità di quantificare “con precisione aritmetica (…) le esigenze di un bambino che viva in ambienti famigliari particolarmente benestanti”. Per quanto attiene, poi, alle condizioni patrimoniali dei genitori, la Corte si è limitata ad un altrettanto generico ed apodittico riferimento “alle oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali (del padre)”, pervenendo – sulla base di questa mera asserzione – alla conclusione di dover reputare “congruo rideterminare l’onere in parola in Euro 1.500,00 mensili“.
Il consiglio dell’Avvocato
In tema di mantenimento dei figli, precisa l’avv. Elena Laura Bini, titolare dello Studio Legale Lambrate, “occorre responsabilizzare i genitori obbligati, cercando di individuare un accordo con l’altro genitore al fine di non coinvolgere i figli in un contenzioso, spesso fonte di ulteriori sofferenze”
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